sabato 17 novembre 2012

Scritto e Disegnato da Emanuela Cherchi.

1000 Arti e Mestieri

Renè Antoine





CAPITOLO 1






Si dice che le volpi siano bestie scaltre, avide ed opportuniste.
Beh io non so chi possa constatare personalmente che sia così, ma posso garantirvi che sono pregiudizi.
Seppur non mi permetterei mai di criticare l'opera del grande Fedro, devo spezzare una lancia nei confronti di tutte le categorie animali alle quali vennero affibbiate ingiuste etichette.

Permettetemi di presentarmi, il mio nome è Renè Antoine: "Renè Antoine 1000 arti e mestieri".
Potete trovarmi al n°7 di Cotton Road, Isola di Scogliolungo, Arcipelago a 1,000,001 pinne a 
sud-ovest del Mar di Marmara.
Non esiste posto in cui mi perderei.
Mi madre diceva che la mia pelle ha la stessa luce che riflette sulle acque del Bosforo d'argento al tramonto.

Mia madre mi adorava ed il suo sentimento era ancora più intenso quando nostalgica mi fissava 
e ritrovava in me i tratti del babbo.
Lei cucinava benissimo, intendiamoci, talmente bene che una volta in preda di una delle sue autocelebrazioni confessò il motivo che la spingeva a sublimare quella sua arte: perché vedeva nella mia veemenza ad abboccare il più possibile le sue prelibatezze, la stessa che vedeva in Rusty quando mangiava dalla sua ciotola.
Io credevo che il Bosforo d'argento, mio padre e Rusty, fossero argomenti toccanti e se mi soffermavo a volteggiare tra le mie nostalgie potevo rivederli ogni volta vivi e vegeti.
Quello che non digerivo della mamma però, non erano di certo i suoi manicaretti, ma il fatto che non mi conoscesse affatto ed insistesse nell'identificarmi con qualcun altro o qualcosa crogiolandosi fra i ricordi scansando un presente che forse poteva gratificarla di nuovo.
Allo stesso modo non credo che l'avrei mai perdonata se si fosse risposata, né vedendola troppo felice.
Forse ero solo un egoista incapace di accettare le situazioni meno gradevoli, o forse ero ottimista
perché mi aspettavo tanto dalla vita, talmente tanto da restarne puntualmente deluso.
Una volta non ero così, forse stavo semplicemente invecchiando, non è questo il primo sintomo?
Si finisce di godere del presente per rincorrere il futuro, 
per scaricare quella soffocante sensazione che è l'attesa.
La vita a Cotton Road iniziò a starmi stretta il giorno del mio compleanno, quando compii diciotto mesi. Rusty si addormentò sul portico dell'ingresso al piano di sotto, accanto alla dispensa per la differenziata delle conchiglie, un mese dopo che il babbo spirò tra i denti aguzzi del pescecane.
Non sapevo che pesci prendere, lo vidi lì, inerme, con le chele svenute sul ciottolato.                                     
Quando realizzai, lo accarezzai sulla corazza e lo salutai.
            
                                     

Rientrai in casa, dal vecchio studio su al piano terra presi una di quelle bocce piene di palline di polistirolo che vorticano attorno alla miniatura di Santa Sofia, la ruppi e utilizzai la cupola per proteggere il corpo esanime del mio amico dagli spazzini.
Dopo quel momento le ore passavano lente a Scogliolungo.


Avevo passato la mia giovinezza tra sollazzi di vario genere, non perché fossi negligente, ma perchè per me tutto era un gioco.
Ogni lunedì festeggiavo la nuova settimana andando a fare lunghe perlustrazioni tra le isole minori munito di retino e coltellino svizzero a caccia di patelle.
Senza il fiuto di Rusty però l'impresa era più ardua.
Insistetti ancora nel praticare la pesca semisubacquea perché dopotutto mamma doveva cucinare qualcosa, e dovevamo tirare avanti.
Allora sù, ancora una volta legai il fazzoletto sulla testa per impedire ai raggi del sole di seccarmi cervello, e per non attirare l'attenzione dei gabbiani; mi arrampicai sugli scogli roridi di Scogliolungo.

Mentre setacciavo meticolosamente la roccia la mia attenzione venne catturata più in alto, verso il prato, da cui giungevano strani versi.
Per tutto il sale del Mar Morto, quel giorno sì che ebbi una sorpresa.
Due bestie mai viste prima discutevano sul come e sul perché.
Erano mammiferi quadrupedi, con denti affilati, grandi orecchie e manto color arancio a pelo corto.
Rimasi lì quatto quatto ad ascoltare incuriosito dalle loro strane parlate.


Masu:
- Dexiditi Asu, sxanta paxienxa!
Asu:
- Sono giorni che ti seguo, ormai ho dimenticato perché ho lasciato tana e vitto certi.
Ho fame, Batu sono stanca!

Asu scimmiottava Masu imitando maldestramente il suo tic all'occhio sinistro.
Aveva una voce baritona.

Masu:
- Tallioh! Tyto Alba ha detto che... e smetti di xtrixxare quell' occhio!
Asu:
- Tyto Alba è un ciarlatano, ti ha fuorviato.

Masu:
- Exxo qual' è il tuo mextiere, ti armi di xi-ci-xinismo e xattiveria per smontare i miei xogni
e farxi carta ixienica. Mai una lacrima, mai un abbraxxio, noxxignore quexte coxe con te non suxxedono mai, mai che venga fuori uno xtraxxio di morale!

Asu:
- Non ti capisco sai? Forse potresti rappresentare il tuo stato d' animo con un dipinto o un balletto estemporaneo, una ballata? Le tue baggianate non sono che aria fritta e quella non sfama.
Certo non vorrai rovinare le tue zampette fatate col lavoro.

La discussione non durò a lungo perché Masu scoppiò in un pianto disperato e zoppicando
si diresse proprio nella direzione che lo avrebbe portato a me.
Cercavo di stare immobile, appena respiravo, se mi fossi mosso quella "cosa"
mi avrebbe certamente divorato in un solo boccone.
Ci separava una distanza di sette o otto pinne circa, il cuore mi batteva all' impazzata.
Era così terribile con quegli artigli pronti ad abbrancarmi,
con quegli occhi verdi, attenti, veloci, minuziosi.
Cessò il moto, ora basito e poi incredulo esclamò:
- Xhe mi venga un colpo! Hey tu ragaxxo! Xi dico a te, vieni qui. Xei vivo o morto?
Povera xreatura vieni dallo xio Masu!

Stavo per essere pervaso da spicce idee risolutive come il suicidio, avevo il coltellino,
o perché no un bell'infarto fulminante, ma in preda alla sindrome del treno mi feci acchiappare.
Asu ci guardò, prima me e poi lui e disse:
- Che fai collezioni miniature adesso? Sto ancora aspettando che tu mi convinca del perché Tyto
si meriterebbe la mia fiducia. Se quella cosa che hai fra le zampe è commestibile mi spetta la metà.

Masu:
- E' chiaro cara la mia Xignora che finché xarò io a dimoxtrartelo non ne verrò mai a xapo.
Da xhe mondo e mondo è rixaputo xhe i pexi xono xtupidi, ebbene io, Masu,
farò di quexta xardina un artixta di fama mondiale!
Farò di lui un pexe rixpettato, conoxiuto in ogni dove, xarà rixxo in xenxo xpirituale e materiale, rixveglierò in lui il xuo lato più puro e gli regalerò la forxa per exprimersi.
Xublime nevvero pexiolino? - mi baciò - Xoxì vedrai quello che mi neghi finalmete, e magari potremmo farxi una rixata ogni tanto.

Asu:- Ho fame. Il tuo pesce come mi risolve il problema senza farsi digerire?

Masu mi stingeva con una zampa e con l'altra si grattava la testa.
Mi guardò ed iniziò ad interrogarmi:
- Come ti xiami ragaxxo? Capixi quello xhe dixo? - annuii e risposi - Ben Renè!
Xono lieto di fare la tua conoxienxa, ma purtroppo io e la xignora  non manxiamo da xiorni,
xaprexti consigliarxi qualcoxa?

Duecentoquarantasette patelle e una passeggiata sino al fico.
Al calar del sole avevo sfamato un carnivoro e ridotto ad uno strudel di fichi l'altro
bizzarro convertito al vegetarianesimo.
Sazi e rinvigoriti, dovettero discutere su dove passare la notte e fu deciso che avrei dovuto aiutare Asu a scavare una tana, un tunnel incrinato dove poter mettere dell' acqua sul fondo.

I dolori per gli sforzi procurati dalla giornata di lavoro mi facevano assumere una postura un po' goffa, pensavo alla mamma, speravo che non fosse in pena per me, fu allora che sentii come un lamento levarsi nell'aria,
era Masu che cantava.



Continua....